World Energy Employment, il lavoro nelle rinnovabili guida la crescita dell’occupazione nel settore energetico ma preoccupa la carenza di competenze
World Energy Employment (WEE) è il rapporto dell’Agenzia internazionale dell’energia (Aie) – giunto alla sua seconda edizione – che analizza l’occupazione nel settore energetico in tutto il mondo, focalizzando l’attenzione sull’evoluzione delle esigenze di manodopera di questa importante branca produttiva.
Il rapporto
Si tratta di un inventario completo dell’occupazione nel settore energetico con stime delle dimensioni e della distribuzione della forza lavoro per regioni, settori e tecnologie. I dati riguardano l’intera catena di valore dell’energia e per la prima volta sono stati inclusi pure quelli riguardanti l’occupazione nelle attività estrattive di minerali critici.
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“Il rapporto di quest’anno confronta anche le esigenze di occupazione nel settore energetico rispetto alle prospettive fino al 2030 attraverso gli scenari dell’AIE, delineando le politiche chiave che potrebbero aiutare i paesi a coltivare e mantenere una forza lavoro qualificata nel settore energetico durante la transizione energetica”, comunica l’Aie.
Questo studio copre l’evoluzione della forza lavoro in campo energetico dal periodo precedente alla pandemia, attraverso la crisi globale e fino ad oggi, esplorando i rischi della carenza di manodopera qualificata e fornendo importanti dati a tutti gli addetti al settore affinché comprendano gli impatti sul lavoro della transizione verso le energie pulite.
La crescita dell’occupazione nel settore delle rinnovabili
Sono ben 67 milioni le persone occupate in tutto il mondo nel settore energetico nel 2022, 3,5 milioni in più rispetto al livello pre-pandemia.
“Più della metà della crescita dell’occupazione in questo periodo è avvenuta in soli cinque settori: solare fotovoltaico, eolico, veicoli elettrici (EV) e batterie, pompe di calore e estrazione di minerali critici. Dei cinque settori, il solare fotovoltaico è di gran lunga il più grande datore di lavoro, con 4 milioni di posti di lavoro, mentre i veicoli elettrici e le batterie hanno registrato la crescita più rapida, aggiungendo oltre 1 milione di posti di lavoro dal 2019”, si legge nel report.
Il lavoro nel settore dell’energia pulita funge quindi da traino e cresce di più rispetto a quello nel tradizionale comparto dei combustibili fossili. Il sorpasso è avvenuto nel 2021 e i dati del 2022 parlano chiaro: il mondo delle rinnovabili occupa globalmente 35 milioni di persone, con un aumento di 4,7 milioni di posti di lavoro rispetto al periodo pre-pandemia, mentre il settore dei combustibili fossili si ferma a 32 milioni di occupati, rimanendo al di sotto dei livelli pre-pandemici (-1,3 milioni) in virtù anche della lenta ripresa dopo i licenziamenti nel 2020 e nonostante i ricavi record registrati dalle società petrolifere e del gas nel 2022.
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Analizzando la distribuzione di questi dati, salta all’occhio che l’aumento dei posti di lavoro nelle rinnovabili ha riguardato ogni regione del mondo, con la Cina – che ospita il 30% della forza lavoro globale nel settore energetico – autrice di uno straordinario riequilibrio. Oggi il 60% della forza lavoro cinese nel settore energetico è impiegata nel comparto delle rinnovabili, nel periodo 2019-2022 sono aumentati di 2,5 milioni i posti di lavoro nell’energia pulita, mentre sono calati di 600mila quelli legati ai combustibili fossili.
“L’espansione delle industrie dell’energia pulita sta anche generando posti di lavoro a monte nell’estrazione mineraria critica, che ha aggiunto 180.000 posti di lavoro negli ultimi tre anni, evidenziando la crescente importanza di questi elementi essenziali nella nuova economia energetica”, si legge nel rapporto.
La carenza di manodopera specializzata
Nonostante le tante notizie positive emerge una criticità riguardante la carenza di manodopera qualificata, che rappresenta il 36% dei posti di lavoro nel settore energetico rispetto al 27% relativo all’economia in generale. Edilizia, produzione e servizi pubblici sono i comparti relativi all’energia in maggior sofferenza di personale, mancano elettricisti specializzati così come i professionisti della scienza, della tecnologia e dell’ingegneria. In pratica, i lavoratori in possesso di titoli o certificazioni rilevanti per i lavori nel settore energetico non riescono a soddisfare le esigenze di una domanda in continua crescita.
“I governi, l’industria e le istituzioni educative devono mettere in atto programmi per fornire le competenze necessarie nel settore energetico per tenere il passo con la crescente domanda, in particolare per produrre e costruire i progetti di energia pulita necessari per raggiungere i nostri obiettivi energetici e climatici”, ha affermato il direttore esecutivo dell’Aie Fatih Birol.
Lo scenario aggiornato Net Zero Emissions (NZE) entro il 2050 riporta un chiaro ribaltamento di forze: a fronte dei 30 milioni di nuovi posti di lavoro che saranno creati nel settore dell’energia pulita, quasi 13 milioni di posti di lavoro nelle industrie legate ai combustibili fossili risultano a rischio. “I posti di lavoro nel settore energetico potrebbero non trovarsi sempre nello stesso luogo né richiedere le stesse competenze, il che significa che i politici dovrebbero concentrarsi sulla formazione professionale e sullo sviluppo delle capacità per garantire che le transizioni energetiche vadano a beneficio del maggior numero possibile di persone”, specifica l’Aie.
Stando ad un sondaggio interno condotto dall’Aie su oltre 160 aziende energetiche, un numero crescente di quest’ultime riporta la carenza di manodopera specializzata quale impedimento principale alla crescita delle attività. Circa il 60% dei posti di lavoro nel settore energetico non possono essere delocalizzati, ragione per cui lo sviluppo di una forza lavoro locale sufficientemente numerosa e qualificata diventa un imperativo in ogni regione. Sarà importante anche cercare di attrarre più donne, che oggi rappresentano solo il 15% della forza lavoro nel settore energetico.
L’attrazione delle energie pulite
In questo decennio, la metà dei lavoratori del settore dei combustibili fossili a rischio licenziamento ha già le competenze per esser riassorbita dal comparto delle energie pulite. Il passaggio a nuovi ruoli richiederebbe solo circa quattro settimane di formazione dedicata aggiuntiva. Nello scenario NZE entro il 2050, 1,2 milioni di lavoratori potrebbero passare dal riscaldamento a combustibili fossili alle pompe di calore, altri quattro milioni dalla produzione di motori a combustione interna ai veicoli elettrici, tutto entro il 2030.
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Il rischio di transizione è particolarmente accentuato per certe categorie di lavoratori come i minatori nei Paesi emergenti e in via di sviluppo. Oltre la riduzione di forza lavoro registratasi nel triennio 2019-2022, entro il 2030 si prevede un’ulteriore contrazione di 1,4 milioni di posti di lavoro. Il trasferimento verso il settore dei minerali critici pare la soluzione più efficace per l’Aie, anche perché “il 40% degli attuali minatori di carbone lavora entro 200 km da un giacimento minerale critico”.
Risultano invece a minor rischio i lavoratori del settore petrolifero e del gas, dove la forza lavoro aumenterà di circa 300mila unità entro il 2030, anche se nello scenario NZE l’occupazione è prevista in diminuzione di oltre 2,5 milioni di addetti. Alcune società petrolifere e di gas naturale stanno già diversificando i propri portafogli in altri settori energetici, “nello scenario NZE, la crescita dell’occupazione nei settori dell’idrogeno, della cattura e stoccaggio o utilizzo dell’anidride carbonica (CCUS), della geotermia e della lavorazione di biocarburanti e biogas quasi compensa le diminuzioni nel business principale del petrolio e del gas fino al 2030”, chiarisce il rapporto.
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Le disparità salariali
Un’altra questione importante è quella dei salari più alti nel settore energetico, che hanno contribuito ad attrarre lavoratori da altri comparti. Le disparità salariali tra i segmenti energetici potrebbero però impedire il trasferimento delle competenze necessarie, portando perfino all’abbandono del settore da parte di alcuni lavoratori. Quelli del petrolio, del gas naturale e del nucleare, ad esempio, beneficiano di salari tra i più alti dell’intera economia. Se alcune tecnologie dell’energia pulita riescono a stare al passo e ad offrire salari comparabili, altre come quelle relative all’energia eolica, al solare ed all’idrogeno vedono guadagni inferiori del 15-30% per il lavoratore medio.
Fondamentali saranno i lavoratori provenienti dall’esterno del settore energetico e già oggi, con una certa riqualificazione, molti di questi potrebbero beneficiare di salari più alti. Secondo l’Aie il sostegno ai lavoratori nei settori in declino dei combustibili fossili dovrebbe procedere parallelamente agli sforzi per formare i lavoratori necessari nei settori dell’energia pulita.
Per i decisori politici, la crescita dei posti di lavoro nel settore energetico rappresenta una grande opportunità per ottenere il sostegno pubblico alla transizione energetica. Esiste già un corpus di politiche che mirano a garantire nuovi posti di lavoro con standard più elevati, più inclusivi e rivolti anche alle comunità colpite dalla transizione.
L’Aie prosegue il suo lavoro analitico di supporto ai policy maker per far sì che il passaggio alle energie pulite sia incentrato sulle persone. I lavoratori hanno un ruolo essenziale per realizzare l’obiettivo di un futuro sostenibile, “la transizione deve dare priorità al miglioramento della vita e dei mezzi di sussistenza per avere successo”.
[Credits: mrganso, Pixabay]
