Delta di Michele Vannucci è una storia di divisioni, di due comunità e i suoi rappresentanti: da una parte Osso (Luigi Lo Cascio) operaio e ambientalista che mira a ripulire il Delta del Po dai rifiuti, dall’altra Elia (Alessandro Borghi) un emarginato della società, che vive in una comunità di pescatori di frodo
Delta è una connotazione geografica molto precisa. È il Delta del Po fra Polesine (Rovigo) e Goro (Ferrara). Una frontiera fra Emilia Romagna e Veneto che il cinema italiano ha già raccontato più volte. Dal neorealismo con Roberto Rossellini nell’episodio conclusivo di Paisà (1946), fino ad arrivare a La terra dei figli (2021) di Claudio Cupellini. Quest’ultimo, tratto dall’omonima graphic novel di Gipi, racconta una storia di formazione all’interno di un’Italia post-apocalittica in un imprecisato Nord-Est. Un mondo devastato da una catastrofe che ha ridotto l’essere umano a una vita misera.

Gli esseri umani protagonisti di Delta di Michele Vannucci – in sala dal 23 marzo grazie a Adler Entertainment dopo l’anteprima al 75° Festival del Cinema di Locarno – sembrano appartenere allo stesso universo del film di Cupellini. Si tratta, in questo secondo caso, di persone in un mondo molto reale. È la prova che, a volte, il confine fra distopia e realtà è molto sottile.

Delta è una storia di divisioni, di due comunità e i suoi rappresentanti agli antipodi. Da una parte Osso (Luigi Lo Cascio) operaio e fondatore di un’associazione ambientalista che mira a ripulire il Delta del Po dai rifiuti. Il suo scopo è combattere “i padroni” che continuano a scaricare sostanze tossiche nelle acque, provocando la moria di pesci. Il suo impegno nasce soprattutto dal desiderio di recuperare un rapporto spirituale col padre morto a causa di suddetti “padroni”. Dall’altra parte c’è Elia (Alessandro Borghi) un emarginato della società, che vive in una comunità di pescatori di frodo romeni.
Mario Soldati – Dalla Valle del Po al TFF37 la gioia di vivere e il buon cibo
Da una parte c’è chi vuole preservare questi spazi nell’ottica del ricordo, di come erano questi ambienti prima che il tempo li contaminasse. Un tempo in cui i pescatori vivevano in case lungo il fiume e avevano un rapporto molto stretto con esso, tanto da celebrare matrimoni, processioni, feste. Il fiume non era solo una fonte di sostentamento, un ricordo fatto di vecchie foto recuperate e di filmati d’archivio sgranati e in bianco e nero, ma anche allo stesso tempo vividi e fanno da collante alla narrazione. A questi ricordi si aggiungono le riprese vere e fittizie dai notiziari a testimoniare la lotta contro il bracconaggio e la pesca indiscriminata, in un ponte fra passato e presente.

Dall’altra i pescatori di frodo che vivono nelle case dei vecchi pescatori, altrimenti abbandonate, che cercano solamente un posto in questo mondo. Siamo in uno spazio ristretto che viene conteso anche con la violenza: soprattutto da parte dei pescatori locali, che seguendo la legge, si sentono defraudati da questi “fantasmi” che pescano il “loro” pesce e poi scompaiono. E per questo motivo arrivano a infrangere le regole e le istituzioni stesse. Fanno ronde in cui cercano di sorprendere i presunti nemici armati di bastoni e fucili. Non esitano a minacciare, a picchiare, a bruciare se necessario. Le istituzioni sono lontane, sia geograficamente che nel tentativo di conciliare le parti.
Along the River: da Torino arriva il western ambientalista
Una situazione da frontiera, perché è di questo che si tratta. Di un confronto che è profondamente americano (lo scontro fra “coloni” e gli “autoctoni”) ma è anche profondamente italiano in quanto racconta l’incapacità della condivisione. Tutt’al più il solo punto di contatto è lo sfruttamento dei pescatori romeni da parte di italiani “padroni” senza scrupoli.

Delta ha una connotazione anche di tipo psicologico: perché esso è un luogo dello spirito. Ci si trova a metà fra i confini ben delimitati di una società e la libertà dell’ignoto che solo il mare può regalare. Una terra di nessuno chiusa al resto del mondo, che si intravede appena attraverso i rami degli alberi, gli steli dei canneti, o le frasche con la quale sono costruiti rifugi improvvisati. Il mondo fuori è il desiderio di una fuga impossibile verso un orizzonte perennemente nascosto dalla nebbia che rende difficile lo scrutare e che gela le ossa.
Rango – La ricerca dell’acqua e di se stessi in salsa western
Per Elia, in particolare, non batte mai il sole, tutto è grigio e cupo. Il suo sguardo non va mai oltre quella nebbia. In essa vede una pagina bianca nella quale può ridisegnare la sua vita in mezzo ai pescatori romeni. È diventato uno di loro in quanto il mondo a cui apparteneva non lo riconosceva. Era un invisibile agli occhi della “sua gente” e nell’invisibilità ne ha fatto la sua corazza. Talmente potente da non esser distinto fra i fantasmi, una presenza che compare sgranata in un video col cellulare o nelle riprese di una telecamera di sicurezza. Sono immagini sgranate e indefinite. Egli ha una maschera comune che diventa immediatamente riconoscibile. Diviene, nuovamente, visibile.
The Power of the Dog – L’Uomo Naturale nel West a Venezia 78
E per questo Elia è ancor più desideroso di perdersi nella fanghiglia e nelle frasche del Po. Un Po che potrebbe essere il Mississippi, o le paludi della Louisiana. Perdersi e nascondersi è facile, sparire completamente risulta impossibile anche se non si intravede la sua sagoma a volo d’uccello. Dall’alto abbiamo un mondo complesso ma ben definito, con i suoi canali, le sue isolette, i suoi promontori di fanghiglia. Tanto affascinante e misterioso dall’alto quanto sconosciuto e labirintico una volta posati i piedi a terra, affondando nel fango.
