Prosegue la campagna #liberidallecatene per l’introduzione del divieto di detenzione di cani a catena, aderisce anche la Provincia autonoma di Trento
Tenere i cani legati alla catena è una crudeltà verso i nostri amici a quattro zampe, purtroppo ancora possibile in alcune Regioni italiane e in altre parti dell’Europa e del mondo. Tre organizzazioni, Green Impact, Fondazione Cave Canem e Animal Law Italia, promuovono la campagna #liberidallecatene per porre fine, entro il 2026, a questa usanza che provoca sofferenze ai cani, privandoli della libertà e delle loro più elementari esigenze.
La normativa in Italia sui cani tenuti alla catena
In questi giorni una buona notizia è arrivata dalla Provincia autonoma di Trento, che ha appena introdotto il divieto di detenzione dei cani alla catena (multe da 400 a 800 euro ai trasgressori), portando così a 10 il numero delle Regioni e Province autonome dotate di una legislazione efficace contro questa pratica.
Un’altra vittoria per la campagna di coalizione, lanciata nel marzo 2021, che ha già raggiunto risultati importanti con il divieto posto dalla Regione Lazio e l’introduzione di una sanzione per coloro che lo violeranno nella Legge regionale della Campania, che già lo prevedeva. “Continueremo a lavorare perché il divieto venga introdotto in tutte le Regioni d’Italia, siamo in attesa che finalmente si provveda all’adozione di pari misure anche in Piemonte”, hanno affermato Gaia Angelini (Green Impact), Federica Faiella (Fondazione Cave Canem) e Alessandro Ricciuti (ALI), che in merito al provvedimento della Provincia autonoma di Trento si sono dichiarati “entusiasti di questa modifica normativa e orgogliosi di aver contribuito a questo risultato grazie alla campagna #liberidallecatene”.
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C’è però ancora molto da fare per questa battaglia di civiltà, perché Liguria, Basilicata e Sicilia non hanno ancora alcuna normativa, mentre il già citato Piemonte, la Provincia autonoma di Bolzano, la Val d’Aosta, il Friuli Venezia Giulia, la Toscana, la Sardegna, il Molise e la Calabria necessitano di importanti modifiche di legge.
Il rapporto Cani alla catena 2022
Il rapporto sulla tematica in questione, redatto dalle organizzazioni promotrici della campagna più Save the Dogs, si pone l’obiettivo di dare indicazioni di natura scientifica e legale alle autorità competenti, al fine di poter “emanare normative efficaci e in linea con il benessere, la salute e l’etologia degli animali”. Nell’anno in corso, nel contesto europeo, Germania e Slovacchia hanno introdotto il divieto di detenzione dei cani a catena, seppur con alcune eccezioni circoscritte. Nonostante l’accresciuta sensibilità dei cittadini europei verso il benessere animale, purtroppo sono ancora oggi migliaia i cani tenuti alla catena nel Vecchio Continente per lunghi periodi di tempo, se non per tutta la vita.
Il rapporto chiede leggi chiare e rigorose sulla tutela degli animali, precisando che tale pratica, ad eccezione di circostanze ben definite per brevi periodi di tempo e per giustificati motivi, debba esser vietata perché “incompatibile con le esigenze essenziali, etologiche e comportamentali, dei cani”. In sintesi, per le no profit promotrici, tenere i cani alla catena costituisce un atto intrinsecamente illecito di maltrattamento degli animali.
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Questo interessante documento presenta le norme adottate in alcuni Paesi soffermandosi in particolar modo sui modelli e le soluzioni migliori, valendosi inoltre del parere di eminenti esperti sui fondamenti etologici e veterinari che dovrebbero guidare le disposizioni delle autorità politiche. Grazie a un’analisi comparata, la pratica di tenere i cani alla catena viene ricondotta a quattro aspetti principali: l’assenza di una normativa specifica, l’inefficacia di quest’ultima perché vaga, incoerente o mal formulata, il fatto che ignori le conoscenze nel campo delle scienze degli animali o, nel peggiore dei casi, l’associazione di tutti e tre i fattori menzionati.
Servono dunque leggi chiare con provvedimenti attuativi che valgano a prevenire il reato, la priorità più importante per il legislatore. “Quanto agli obblighi internazionali, abbiamo rilevato che l’utilizzo della catena non è soltanto contrario al riconoscimento degli animali come esseri senzienti (Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea – TFUE), ma anche, sotto certi aspetti, non conforme alle leggi nazionali di alcuni paesi dell’UE sul rispetto dell’etologia animale, alle Cinque Libertà Fondamentali degli Animali (ora recepite anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità) e alla Convenzione Europea per la Protezione degli Animali da Compagnia (Consiglio d’Europa)”, prosegue il rapporto.
Secondo questo studio, la normativa migliore in materia a livello europeo è quella austriaca, al di fuori del Vecchio Continente la californiana. Non mancano inoltre le raccomandazioni alle autorità competenti, che chiedono una rapida attuazione delle leggi e una loro effettiva applicazione, la precisa definizione delle autorità responsabili a tali scopi, l’intervento immediato per liberare i cani in casi di violazioni con la comminazione delle multe ai trasgressori, il disciplinamento della materia a livello nazionale e non locale, sanzioni efficaci ed infine campagne di sensibilizzazione del pubblico sulle esigenze dei cani e l’adozione delle migliori prassi europee per uniformare le normative nazionali.
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Nella prefazione al rapporto, l’etologo e docente universitario ungherese Ádám Miklósi specifica che il benessere psico-fisico costituisce l’opportunità di esprimere dei comportamenti naturali in tutto l’arco della propria vita, con minime limitazioni. “È quindi impossibile godere di un livello accettabile di benessere senza libertà di movimento, tenendo presenti le specifiche esigenze biologiche delle specie. […] Non c’è alcuna legge che prescriva che gli esseri umani debbano avere dei cani. Tuttavia, se gli esseri umani decidono di condividere la propria vita con dei cani, come possono queste creature, i nostri amici, finire in catene?”, scrive Miklósi. Servano di monito queste parole.
