The Fire Within di Werner Herzog, fuori Concorso al 40° Torino Film Festival, è il film che racconta i vulcanologi e cineasti Katia e Maurice Krafft
«Questo film è in memoria di Katia e Maurice Krafft, due vulcanologi della regione dell’Alsazia, in Francia. Quasi tutto quello che vedremo è stato girato da loro. C’è qualcosa di impressionante in questo, di mai visto prima che mi ha attratto come regista. Hanno perso la vita assieme catturando la potenza dei vulcani. Questa è la loro eredità. La vita e la morte di Katia e Maurice è documentata in film e libri. Questa non vuole essere un’altra ampia biografia. Quello che sto cercando di fare qui è celebrare la meraviglia delle loro immagini». Con queste parole il regista Werner Herzog apre il suo ultimo film documentario, The Fire Within: a requiem for Katia and Maurice Krafft presentato Fuori Concorso alla 40ma edizione del Torino Film Festival, dopo essere stato presentato al DocLisboa 2022 nella sezione “From the Earth to the Moon” e al Telluride Film Festival.

Parole che sono una dichiarazione di intenti, che accompagnano un’immagine altrettanto potente. Una ripresa di Maurice Krafft (1946 -1991) con la tuta ignifuga di fronte a una fontana di lava di un vulcano islandese. Una autentica parete di fuoco in continua ebollizione e movimento. Il vulcanologo si toglie il casco e si rivolge alla videocamera, una mano allungata verso la lava. Come a volerla toccare, accarezzare le migliaia di gradi che stanno di fronte a lui. Porge una mano nella danza contro la morte.
Già solo questo inizio rende i protagonisti del documentario due perfetti eroi herzoghiani, volti costantemente a sfidare se stessi e la Natura. Qui è espressa nella sua potenza massima e più dirompente che mai. Perché i vulcani sono distruttori e anche creatori in quanto rimandano a un periodo più remoto e primordiale della Terra. Quando le masse di fuoco e gas dominavano e si stavano plasmando per creare i continenti, le placche terrestri che passano l’una sotto l’altra in una melassa rossa e arancione. Il fuoco che si incontra con l’acqua nella quale sta ribollendo il brodo primordiale.

Il lavoro dei due vulcanologi, la quantità di materiale che hanno girato soprattutto alle Hawaii e in Islanda sembrano essere, per Herzog, gli appunti per una storia delle origini della vita sulla Terra che non hanno avuto tempo di montare. Il regista tedesco compie questa operazione in lunghe sequenze liriche a raccontare questa danza primitiva sotto le note di Richard Wagner. Dei motivi di grande impatto e che rendono la maestosità della visione. Un inferno nel quale i due vulcanologi si immergevano per poi ritornare al paradiso bucolico dei vigneti dell’Alsazia.
Inferno e paradiso si mescolano alla vita e alla morte che i vulcani portano con sé. La morte che ha raggiunto i coniugi Krafft il 3 giugno 1991 alla base del monte Unzen, in Giappone. Herzog parte da questo evento per raccontare, in flashback, la storia dei due vulcanologi. Una storia iniziata all’università: a Strasburgo dove Katia studia fisica e geochimica e Maurice geologia. Si sono sposati nel 1970 e decidono di fare il loro viaggio di nozze a Santorini. È a quell’epoca che risalgono i loro primi filmati, molto convenzionali e simili a qualsiasi reportage turistico.
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Con il tempo la loro tecnica si perfeziona, uscendo gradualmente dall’inquadratura per lasciare le immagini. I loro filmati di ricerca (ne hanno lasciate oltre 200 ore) lanciano i semi di una evoluzione artistica di tipo autoriale. Dai loro progressi nell’avvicinamento costante ai crateri dei vulcani, a uno studio umanistico delle conseguenze che le eruzioni portano con sé nella vita di chi ci vive vicino.

Il punto di svolta in tal senso è l’eruzione del Nevado del Ruiz nel 1985, che viene ricordata come una delle catastrofi più devastanti per numero di vittime della vulcanologia. La popolazione della cittadina di Armero non era stata evacuata quando la colata piroclastica, uscendo dal cratere, ha sciolto i ghiacciai presenti. L’acqua mescolata alla cenere e alla terra ha creato delle enormi colate di fango – nel gergo lahr – che hanno travolto la città e massacrato gli abitanti.
Sui 29.000 abitanti, le vittime sono state 20.000. Quello che rimane delle città è una piana di fango dalla quale spunta qualche tetto degli edifici più alti. Vediamo i superstiti farsi largo camminando su tavole di legno che poggiano sul terreno davanti a loro; il bestiame agonizzante e i resti dei cadaveri; i soccorsi da parte delle autorità a chi ha perso tutto. Non viene risparmiato nulla, neppure il disseppellimento di teschi di chi è stato bruciato vivo dall’intenso calore delle nubi.

È stata proprio una nube a causare la morte di Katia e Maurice a Unzen. Dopo tre giorni di apparente stasi, il vulcano esplode. Una nube piroclastica ad altissima velocità spazza via tutto ciò che trova davanti. Il viaggio di Herzog si conclude con i filmati della nube effettuati da un reporter giapponese. Egli ha il tempo di asciugare la lente dell’obbiettivo prima di mettersi in fuga. E lì, in un fermo immagine, altrimenti impercettibile, vediamo due figure. L’ultima presunta immagine dei Krafft prima di morire. L’ultima loro parvenza terrena, in una sublimazione della celebre frase del drammaturgo e cineasta Jean Cocteau «il cinema è la morte al lavoro».
