Esiste un qualche legame tra l’attuale modello di sviluppo e l’insorgenza di epidemie, non ultimo il Coronavirus? Sì, secondo un recente studio coordinato da La Sapienza.
Ebola, Sars, Zika, Mers, H1N1, e ora quella di Covid-19 o Coronavirus. Si allunga la lista delle epidemie virali che negli ultimi 20 anni hanno messo a dura prova i sistemi sanitari ed economici globali. Ciascuna con le proprie peculiarità, in comune hanno il fatto di essere di origine zoonotica, cioè sono trasmesse dagli animali, nello specifico da quelli selvatici.

I pericolosi comportamenti umani
L’insorgenza di queste malattie è quindi tanto più probabile quanto maggiore è l’interazione tra uomo e fauna autoctona. In altre parole, dipende da noi e dai nostri comportamenti nei confronti degli habitat naturali.
A sottolinearlo è una ricerca condotta da un gruppo di esperti internazionali coordinato da Moreno di Marco, ricercatore esperto di biodiversità del Dipartimento di Biologia e Biotecnologie dell’Università La Sapienza di Roma, che mette in luce la relazione tra rischio di insorgenza di pandemie e perdita di biodiversità.

“Si presta troppo poca attenzione alle interazioni tra il cambiamento dell’ambiente e il diffondersi delle malattie infettive”, sottolinea Di Marco, “nonostante le prove scientifiche che questi due fenomeni sono strettamente connessi siano sempre più evidenti”.
L’articolo, pubblicato sulla rivista scientifica PNAS, fa luce sulle principali analogie tra l’attuale epidemia di Coronavirus e quelle precedenti, individuando le cause dell’insorgenza in alcuni comportamenti di origine antropica quali l’alta densità di popolazione umana, i livelli insostenibili di caccia e di traffico di animali selvatici, e i cambiamenti ambientali, quali la deforestazione, e l’aumento degli allevamenti intensivi specialmente in aree ricche di biodiversità.
Questi comportamenti sarebbero alla base del cosiddetto fenomeno dello spillover, ossia il passaggio di un patogeno da una specie ad un’altra, in questo caso da un animale all’uomo. Ad oggi non sappiamo ancora quale sia stata l’origine del Coronavirus, ma non c’è alcun dubbio sul fatto che dietro la sua diffusione ci sia l’azione dell’uomo sugli ecosistemi.
Prevenire è possibile impattando meno sull’ambiente
I ricercatori sostengono che il rischio di insorgenza di malattie infettive rappresenti un punto cieco nei piani di sviluppo sostenibile. Ci si concentra ancora troppo sulle strategie di contenimento dell’epidemia in corso piuttosto che su quelle di prevenzione, nonostante tutto suggerirebbe di dare priorità alle seconde.
“Auspichiamo che tale aspetto diventi una parte integrante e prioritaria dei piani di sviluppo sostenibile”, spiega Di Marco, “affinché sia possibile prevenire, piuttosto che reagire a potenziali conseguenze catastrofiche per l’umanità” .

I ricercatori sottolineano quindi l’importanza del monitoraggio e della riduzione delle attività antropiche a ridosso di ecosistemi naturali e di aree ad alta biodiversità:
“Le attività antropiche a ridosso di ecosistemi naturali comportano due rischi principali”, aggiunge Di Marco, “innanzitutto l’aumento del rischio di contagio dovuto al contatto tra uomo e/o bestiame e animali selvatici, che diventa maggiore. Ad esempio, distruggere habitat naturali (come le foreste) per estendere le zone di pascolo comporta un aumento del rischio di contatto tra bestiame e specie selvatiche, con un aumento del rischio di trasmissione di patogeni all’uomo. Inoltre, la perdita di habitat e la caccia indiscriminata possono alterare la naturale composizione delle comunità di specie selvatiche, alterando poi le dinamiche che regolano i patogeni che sono naturalmente associati a queste specie. In conseguenza può aumentare il rischio che un determinato virus diventi prevalente e/o che passi ad una nuova specie ospite”.
Quali moniti per il futuro
Nonostante l’ampio consenso scientifico, l’idea secondo cui la tutela della salute umana passa anche (e soprattutto) attraverso la salvaguardia della biodiversità fatica ancora a farsi strada. Secondo gli studiosi è necessario riconoscere che esistono dei compromessi tra obiettivi di sviluppo socioeconomico (come la produzione di cibo e di energia), l’impatto che questi hanno sull’ambiente e sulla biodiversità, e i rischi che tali cambiamenti comportano in termini di insorgenza di epidemie.

“Purtroppo, si continua ancora a vedere la conservazione della biodiversità, e della natura più in generale, come un obiettivo secondario rispetto ad aspetti di sviluppo socioeconomico come la produzione di cibo o di energia. In questo modo però”, conclude Di Marco, “si rischia di definire politiche di sviluppo miopi, che hanno un effetto boomerang nel lungo termine”.
L’attuale epidemia di Coronavirus, dunque, non è che l’ennesimo squillo d’allarme di un modello di sviluppo insostenibile, fondato sullo sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali del nostro Pianeta. A differenza di quanto si pensi, noi uomini siamo parte integrante di tutto questo, e il nostro benessere non può prescindere da quello di ciò che ci circonda. Il nostro futuro passa necessariamente attraverso una concreta azione di tutela dell’ambiente, della biodiversità e dei servizi ecosistemici.
