A pochi giorni dal Forum Barilla abbiamo incontrato la responsabile scientifica del progetto Su-Eatable Life per parlare di ambiente, alimentazione e salute.
Vi siete mai chiesti qual è l’impatto di ciò che mangiamo sull’ambiente?
È davvero possibile mangiare bene e, allo stesso tempo, aiutare il nostro Pianeta nella lotta al cambiamento climatico?
Che cosa possiamo fare noi, come consumatori in campo alimentare, per sventare una crisi ambientale di proporzioni globali?

A questi interrogativi c’è chi ha provato a dare una risposta. È il progetto europeo Su-Eatable Life, lanciato dodici mesi fa da Fondazione Barilla in collaborazione con altri partner europei, che nasce con il dichiarato obiettivo di dimostrare che ridurre l’impatto ambientale connesso alle nostre abitudini alimentari è davvero possibile.
La conferenza di medio-termine del progetto, ospitata all’interno del X Forum Internazionale su Alimentazione e Nutrizione [N.d.R., il prossimo 3 dicembre a Milano] sarà l’occasione perfetta per fare il punto della situazione e tracciare gli obiettivi del domani.

Intanto, ne abbiamo parlato con la professoressa Simona Castaldi, responsabile scientifico di Su-Eatable Life. Attualmente professore associato di Ecologia all’Università degli studi della Campania “Luigi Vanvitelli”, durante la sua carriera ha coordinato oltre 20 progetti di respiro internazionale in ambito di sostenibilità ambientale.

Professoressa, una vita dedicata alla ricerca in ambito ambientale. Che cosa sta succedendo al Pianeta?
“La scienza oggi è concorde sul fatto che abbiamo raggiunto il limite della capacità portante del pianeta: dalla presenza di gas ad effetto serra nell’atmosfera a quella di azoto e di metalli pesanti in eccesso nell’ambiente; l’uso smisurato delle risorse idriche e di terra; l’inquinamento atmosferico; l’impatto sulla biodiversità; l’uso indiscriminato di risorse limitate e fondamentali come il fosforo. Stiamo dissipando tutte queste risorse con uno sguardo così poco attento alla sostenibilità, che siamo arrivati in moltissimi casi a dei livelli limite oltre i quali sarà davvero difficile tornare indietro così facilmente. Il recente studio dell’IPCC [N.d.R., il Gruppo Intergovernativo sul Cambiamento Climatico] ha rivelato come non ci sia più molto tempo: ci restano infatti meno di trent’anni per modificare radicalmente le nostre attitudini alle emissioni, e quindi i nostri stessi stili di vita, per poter rimanere entro certi limiti di emissioni, tali da non incorrere in variazioni climatiche che potrebbero determinare effetti disastrosi su economia, società e ambiente.”

Diversi studi hanno dimostrato la criticità del sistema agroalimentare, mi parli del nesso tra questo e il riscaldamento globale.
“Il sistema agroalimentare contribuisce in maniera sostanziale alle emissioni di gas ad effetto serra nell’atmosfera: per il 20% delle emissioni totali se consideriamo solo quello che succede in agricoltura; fino al 37% se consideriamo l’intera filiera alimentare, compresi i processi di trasformazione e trasporto fino alla nostra tavola. Attenzione però, non si vuole assolutamente demonizzare il sistema alimentare, ma è chiara e doverosa la necessità di individuare soluzioni per ridurre il livello di emissioni. Dalle pratiche agricole sul campo, all’industria per la parte di trasformazione e di trasporti, fino ad arrivare a noi consumatori, ogni attore della filiera ha un ruolo chiave. Con una popolazione che presto potrebbe raggiungere i 10 miliardi aumenterà anche la domanda di cibo. L’innovazione tecnologica può essere la chiave: abbiamo bisogno di migliorare l’efficienza delle pratiche agronomiche attraverso un maggior impiego della tecnologia, convergendo verso un’intensificazione sostenibile dell’agricoltura. Senza dimenticare tutti gli sprechi, dal campo alla tavola, che devono essere eliminati.”

Qual è l’impatto ambientale dei nostri comportamenti alimentari sull’ambiente?
“Come rivelato dai più recenti rapporti e studi scientifici, in tutti i paesi industrializzati, America in primis, si registra un consumo eccessivo di carne e derivati, zuccheri raffinati e grassi. Ciò determina un enorme impatto sull’ambiente, anche alla luce del fatto che i prodotti di origine animale, carne rossa su tutti, hanno un impatto ben più alto di altri. Un tale consumo, inoltre, determina problemi alla salute, come dimostrato dall’enorme aumento dei tassi di obesità oggi nei paesi industrializzati. Se si mangiasse più bilanciato e senza eccessi, ne gioverebbe non solo l’ambiente ma anche la salute delle persone. Con una serie di benefici in termini sociali: non dimentichiamoci infatti che mentre alcuni di noi esagerano nei consumi e sprecano enormi quantità di alimenti, tanti altri non hanno accesso a sufficiente cibo. Ma anche vantaggi economici: basti pensare all’enorme risparmio per i Servizi Sanitari Nazionali.”

Mi sembra di capire che la salute del nostro pianeta sia anche in quel che mangiamo. Quale ruolo possiamo avere noi consumatori?
“Ciò che consumiamo, nelle quantità con cui lo facciamo, ha un impatto sia sulla nostra salute che sull’ambiente. Come illustrato dal modello della doppia piramide alimentare e ambientale elaborato dalla Fondazione Barilla, una dieta sana è anche una dieta sostenibile. Adottare quindi comportamenti alimentari corretti, mangiando in maniera sana e bilanciata, può portare enormi benefici non solo per noi stessi ma anche per l’ambiente. In secondo luogo, in fase di acquisto, possiamo privilegiare quei prodotti più sostenibili. Anche se, per adesso, in mancanza di un adeguato sistema di etichettatura, è difficile per i consumatori fare scelte davvero informate. A questo proposito, a livello di Comunità Europea si sta discutendo sulla definizione di un sistema internazionale per la comunicazione delle prestazioni ambientali dei prodotti [N.d.R., Environmental Product Declaration] da parte di tutti.”

Che opinione ha delle filiere corte e quali sono le opportunità?
“Un fenomeno certamente interessante. Dalla valorizzazione delle specialità agricole locali, al rispetto della stagionalità dei prodotti, fino alla promozione della biodiversità regionale, le filiere corte offrono grandi benefici per l’ambiente e le comunità. Per non parlare delle migliori caratteristiche nutrizionali dei prodotti, o del basso livello di emissioni di CO2 garantito dallo scarso numero di intermediari coinvolti ed il basso grado di trasformazione dei prodotti.”

Che cosa intende per diete sane e sostenibili?
“L’errore che spesso facciamo è associare una dieta sana al singolo pasto. Quando, invece, tutte le linee guida oggi si riferiscono alla settimana nel suo complesso. Una dieta sana dovrebbe includere: abbondanti porzioni di frutta e verdura; una giusta quota di cereali, meglio se integrali; grassi possibilmente insaturi come l’olio d’oliva; e fonti di proteine differenziate, limitando il consumo di carne rossa a non più di una volta alla settimana, preferendo legumi, uova, pesce e carne bianca. Facendo un calcolo complessivo dell’impatto in termini di emissioni di CO2 e consumo idrico, ci si accorge che una tale dieta rientra entro i parametri di sostenibilità. Una dieta sana, dunque, è anche una dieta sostenibile. Rivoluzionando i consumi è possibile ridurre l’impatto sull’ambiente, avvicinandoci agli obiettivi di riduzione delle emissioni stabiliti dalla Comunità Europea.”

Mi parli del progetto Su-Eatable Life: quali sono gli obiettivi e come pensate di raggiungerli?
“Su-Eatable Life è un progetto di informazione ed educazione che mira a dimostrare che, attraverso alcune modifiche nelle diete, possiamo tutti contribuire alla riduzione delle emissioni di CO2 e dell’impronta idrica connessa al cibo che mangiamo. In termini ambientali, l’obiettivo è di portare ad un risparmio di 5.300 tonnellate di CO2 e di 2 milioni di m3 di acqua. Nei tre anni di progetto puntiamo a coinvolgere 5.000 persone all’interno di mense aziendali e universitarie, con l’obiettivo di individuare i migliori strumenti di sensibilizzazione per un reale e duraturo cambiamento nelle abitudini alimentari. Da alcuni studi dell’Università di Wageningen, sappiamo che un cambiamento alimentare consapevole necessita della creazione di un contesto favorevole. Un soggetto sensibile ad altre tematiche, infatti, sarà più propenso ad interiorizzare un messaggio di dieta sostenibile.”

Ritiene che quel che finora è stato solo un progetto possa essere esteso ad una popolazione più ampia, o replicato in altri contesti?
“Certo, a valle del progetto ci piacerebbe riuscire a rendere Su-Eatable Life un esperimento replicabile anche in altre mense ed altri contesti. E, sicuramente, ci viene incontro il fatto che in questo specifico periodo storico, sia a livello pubblico che privato, ci sia sempre più attenzione verso i concetti di sostenibilità e di dieta sostenibile. Stiamo lavorando per la stesura di un documento tecnico-scientifico che validi le tesi di Su-Eatable Life, da portare al tavolo del legislatore, con l’obiettivo di trasformare queste evidenze scientifiche in linee guida nazionali che vadano in questa direzione.”

Quali ritiene siano le principali barriere per un cambiamento concreto e duraturo nelle scelte alimentari delle persone? E quali le migliori strategie per superarle?
“L’informazione prima di tutto. Fin dalla scuola, bisogna informare a tutti i livelli della società, spiegando a tutti per quali ragioni è importante modificare le nostre scelte alimentari. In secondo luogo, la facilitazione. Facilitare l’accesso dei cittadini a determinati servizi più sostenibili, mettendoli nelle condizioni di fare scelte migliori per loro stesse e per l’ambiente. Spesso, infatti, il problema è il non-potere più che il non-volere”.

Le lancio una provocazione: per salvare il pianeta dobbiamo quindi diventare tutti vegetariani o vegani?
“Non è questo l’obiettivo del progetto. Una dieta sana e bilanciata prevede il consumo di carne e derivati, sebbene sia importante ridurne le quantità, in particolare della carne rossa. Senza imporre alcun diktat, dunque, una dieta di questo tipo può contribuire a raggiungere alcuni importanti obiettivi di sostenibilità.”

Parliamo di proteine vegetali: come vede questo trend? Ritiene possa portare benefici all’ambiente?
“Non c’è dubbio che nella società moderna si consumino in genere troppe proteine di origine animale, e poche vegetali. Il trend delle proteine a base vegetale è sicuramente molto positivo, se questo può contribuire a stimolare le persone ad aumentarne il consumo. Oltretutto, le leguminose offrono diversi vantaggi per l’ambiente: sia per le loro proprietà azotofissatrici che contribuiscono alla fertilità del suolo, per l’uso minore di fertilizzanti in produzione, e per la minore quantità emissioni di gas ad effetto serra. Attenzione però, è importante considerare come e dove queste proteine vengono prodotte. C’è tutto un discorso di equilibri da rispettare e di sostenibilità della filiera da monitorare, affinché, per esempio, non sia stato necessario eseguire pratiche di deforestazione.”
