C’era una volta il cane… da caccia, da pastore. Poi la società è cambiata e anche il modo dei nostri amici di starci vicino. Troviamo i cani da soccorso, Protezione civile e soccorso in mare, quelli impiegati dall’anti-droga oppure tutti i cani utilizzati per la pet-therapy o nei progetti di lettura. A loro si aggiunge adesso un nuovo ambito di lavoro in cui potrebbero risultare utilissimi, potremmo dire “vitali”. Il termine non è usato a sproposito visto che parliamo del settore medico.
Ma cosa unisce cani e medicina? A unirli ci pensa il fiuto. In Gran Bretagna, già dalla fine degli anni ’80, studiano e addestrano cani al fine di percepire e segnalare la presenza di un tumore in una persona annusandone l’urina. In questa direzione va il progetto Se ti fiuto ti aiuto, portato avanti dalla Medical Detection Dogs Italy Onlus, l’Università Veterinaria di Milano, l’Istituto Europeo di Oncologia con il finanziamento di Fondazione Cariplo.

Il progetto Se ti fiuto ti aiuto
Di cosa si tratta con precisione? Ce lo racconta Aldo La Spina, direttore tecnico della Medical Detection Dogs Italy Onlus, l’associazione che si sta occupando dell‘addestramento dei cani impegnati nel progetto. In termini molto semplici potremmo dire che l’urina di una persona affetta da tumore emana un odore diverso, odore percepibile unicamente dai cani poiché dotati di un incredibile numero di ricettori olfattivi. Questa diversità dipende da un biomarker tumorale che ancora la ricerca non è riuscita a decifrare ma che il cane sente. Il biomarker chiamato anche VOCs, o composto volatile organico è rilasciato dall’organismo della persona malata.

Mentre altri studi sono stati condotti su tumore alla prostata, alle ovaie, al seno, al colon e vescica il progetto Se ti fiuto ti aiuto si concentra sul tumore al polmone. Come si procede? Ce lo racconta Aldo. “Vengono messe o,5 ml, cioè poche gocce, di urina positiva al tumore in un contenitore posizionato tra altri cinque negativi e si lavora a gruppi di sei. Il cane deve annusare tutti e sei i campioni di urina. Quando non percepisce i VOCs deve andare oltre se invece percepisce il biomarker deve sedersi davanti al campione in cui lo trova“.
Fondamentale è il modo in cui avviene la segnalazione: “deve essere passiva, senza abbai, salti o altro, ma molto silenziosa e precisa”. Ed è proprio la precisione che interessa: “sedersi, puntare il campione in modo inequivocabile per dirci che in quell’urina e non altrove ha annusato la presenza dell’odore che segnala il tumore“.

A che punto è il progetto? “Al momento siamo nella fase conclusiva dell’addestramento. Abbiamo iniziato circa due anni fa con sei cani. Solo tre stanno arrivando al termine ma loro garantiscono una percentuale di esattezza della valutazione dal 95% al 98% dei campioni“. Da qui a breve finirà la fase d’addestramento e potrà iniziare la sperimentazione vera e propria.
I ricercatori ipotizzano che i cani riescano a percepire la presenza dei biomarker già in uno stadio molto iniziale della malattia. Se il fiuto dei nostri amici a quattro zampe dovesse rivelarsi affidabile così come al momento tutto lascia pensare, potrebbe portare a diagnosticare in modo più veloce la presenza della malattia aumentando la possibilità di sopravviverle senza visite o analisi invasive o dolorose.

La scelta del cane
Quali caratteristiche deve avere un cane per diventare un “detection dog”? Sempre Aldo La Spina spiega che la caratteristica principale di un cane utilizzato per questo compito è “la sua voglia di lavorare con noi”, sopportando anche la lunga presenza in laboratorio in modo sempre calmo e preciso. Sono stati usati fino ad adesso Labrador, Pastori Belga e una meticcia, Helix ritratta in foto sopra.

Un progetto interessante, una sfida che se vinta potrebbe significare moltissimo per aiutare a fare vera diagnosi precoce nel modo più dolce possibile. Non rimane che augurare a tutto lo staff, umano e canino, buon lavoro!
