Nel 1953 uno scrittore francese, Jean Giono, scrisse di un uomo, Elzeard Bouffier, che piantava alberi in una terra arida e fredda della Provenza.
Bouffier venne descritto come un cinquantenne che scelse di ritirarsi in quella terra con uno scopo ben preciso, piantare querce, avendo pensato che quel paese sarebbe morto per mancanza d’alberi.
Questo racconto, dal titolo L’uomo che piantava gli alberi, colpì tanto i lettori che in moltissimi vollero credere che l’uomo che piantava gli alberi esistesse davvero.
Ma l’autore smentì la leggenda, affermando che il personaggio era il frutto della sua immaginazione di scrittore.
Giono, però, non seppe mai che, anni dopo la sua morte, un uomo in carne e ossa si sarebbe trasformato in quella leggenda: quando si dice che la realtà supera la fantasia!
A partire dal 1979, infatti, Jaday Molai Payeng, che allora era un adolescente, ha cominciato a piantare alberi in una landa desolata e sabbiosa dell’India, facendo crescere una foresta che oggi è grande 550 ettari e che permette la sopravvivenza di diverse specie di piante e di molti animali in via di estinzione.

La nascita della foresta di Molai
Jaday Molai Payeng fu testimone, alla fine degli anni Settanta, di una devastante alluvione che procurò la morte di moltissimi animali e la distruzione di molte piante e alberi sull’isola di Majuli, poco distante dal villaggio in cui viveva, di là dal fiume Brahmaputra.
Quello che lo colpì di più fu la morte di decine e decine di serpenti che, non avendo più alberi per ripararsi, morirono dal caldo.
È lo stesso Jaday a raccontare l’episodio che lo ha cambiato, trasformandolo nell’uomo che piantava gli alberi di Giono, in un’intervista al Times India del 2012: «I serpenti sono morti per il caldo, senza alcuna possibilità di riparo in assenza di alberi. Mi sono seduto e ho pianto sopra i loro resti. È stata una carneficina. Ho avvisato il Dipartimento Forestale e ho chiesto loro se lì potevano crescere alberi. Hanno risposto che non sarebbe cresciuto niente su quella terra, ma mi hanno anche detto di provare a piantare bambù. L’ho fatto, non c’era nessuno ad aiutarmi. Nessuno era interessato».
Dopo aver parlato con i funzionari del Dipartimento Forestale, Payeng cominciò a piantare i semi di bambù e, quando questi, dopo diversi anni, cominciarono a crescere e a moltiplicarsi, rendendo il terreno più fertile, piantò altre varietà di piante, e altre ancora, mese dopo mese, anno dopo anno, fino a creare una nuova foresta, la foresta di Molai, denominata così dal nome dell’animale domestico di Jaday.

Un nuovo ecosistema
Da allora Jaday Molai Payeng non si è mai più spostato da quel luogo, e continua tutt’oggi a piantare alberi: nella sua foresta, grande più del Central Park di New York, vivono elefanti, rinoceronti, diverse specie di uccelli, formiche rosse, che l’uomo ha portato sull’isola dal suo villaggio, e persino cinque tigri reali del Bengala.
Negli ultimi anni sono apparsi anche gli avvoltoi, e Jaday è molto orgoglioso di questo, perché secondo lui la Natura è riuscita non solo a ricreare un nuovo ecosistema adatto alla vita – di moltissimi animali e varietà di piante – ma ha ricreato autonomamente anche una nuova catena alimentare.
La storia di Jaday Molai Payeng si è diffusa presso il governo indiano solo nel 2008 e nel 2014 ha ispirato un corto/documentario, Forest man, prodotto da William Douglas McMaster, che quell’anno ha ricevuto il premio come miglior regista emergente al Festival di Cannes.

Cosa possiamo fare noi
Jaday Molai Payeng rappresenta una speranza per il futuro: una speranza che permetta al genere umano di trattare con rispetto la natura, di averne cura, perché solo per suo tramite può esserci la vita.
Jaday Molai Payeng è l’esempio di come “l’uomo potrebbe essere altrettanto efficace degli dei in altri campi oltre la distruzione, se solo volesse”, proprio come diceva Jean Giono nel suo libro.
Per l’uomo di oggi, infatti, la natura è vissuta come fonte primaria da utilizzare per nutrirsi, vestirsi, costruire, di cui ci si considera padroni assoluti sfruttandone i materiali e l’energia.
Con la storia di quest’uomo vorremmo avvicinare un po’ di più le persone alla riflessione sulla natura, soprattutto i bambini e i ragazzi, coloro che nel futuro potranno cambiare le cose.
