Ogni popolo, ogni nazione, ogni cultura ha bisogno di una propria storia. Ha bisogno di una propria epos. Ha bisogno di quella parola primigenia che la racconti. O che giustifichi il suo senso d’esistere. Solo in un secondo momento, alle azioni e alle tradizioni innate viene dato un punto zero.
La parola che solo alcuni popoli hanno impresso nella scrittura per valicare il tempo. Per molti altri è stata la memoria e la parola di pochi a raccontare la storia. E, si sa, la memoria è fallace. Quando non si ricorda si ri-racconta, si riscrive, si riadatta. Si fanno palinsesti mentali, che poi divengono culturali. Tanto più vero per le culture che hanno fatto affidamento solo sulla trasmissione orale. Di conseguenza, moltissime di queste parole, vuoi col tempo, vuoi con le circostanze, sono andate perdute. Quelli che erano spazi bianchi geografici, sono stati via via riempiti. Quelli culturali rischiano di essere immacolati per sempre.
Quanti vengono recuperati, spesso lo sono grazie all’interesse di un altra cultura. Per un arricchimento reciproco. Uno scambio culturale dapprima mediato tramite gli interpreti dei primi esploratori. Poi dagli indigeni stessi, assoggettati a una lingua comune. Accessibile ma senza il fascino originale, incompresa in parte. Come un film mal doppiato, insomma. E, con le registrazioni video e poi audio, che queste voci hanno potuto finalmente parlare libere. E sfruttando il mezzo del cinema che all’indigeno viene dato un mezzo solido alla propria epos. Per essere trasmissibile. Dalla propria cultura a quella altrui.
Proprio questo fa il film di Rogério Corrêa Krenak (2018). Racconta l’epica storia del popolo Krenak, nello stato del Minas Gerais del Brasile. Vincitore del premio “Olhares e Enquadramentos” del Festival Rios di Lisbona, è stato proiettato fuori concorso l’11 e il 14 luglio 2019 nell’ambito dell’ottava edizione del Festival Agenda Brasil. La manifestazione, che si è svolta presso il Museo Interattivo del Cinema e la Cineteca di Milano, è la più importante in Italia sul Brasile. Si tratta di un Paese pieno di contraddizioni e pieno di diseguaglianze. Il concorso ufficiale è diviso in due categorie (film di finzione e documentari) per un totale di tredici film. Più una selezione di cortometraggi sia brasiliani che portoghesi, e quattro lungometraggi (fra cui appunto Krenak) fuori concorso.
Krenak prende le mosse dal disastro di Bento Rodrigues del 5 novembre 2015. Questo viene considerato uno dei più gravi disastri ecologici del Brasile e fra i più gravi di sempre nel settore minerario. Esso è stato causato dal collasso di un bacino di decantazione di una miniera di ferro presso il villaggio di Bento Rodrigues. Il bacino era conosciuto come “Fundão” ed era gestito dalla Samarco Mineracão SA. Si trattava di una joint venture fra i colossi minerari Vale SA e BHP Billion. I fanghi dell’estrazione degli ossidi di ferro sono arrivati fino al vicino fiume, il Rio Doce. Dopo due settimane l’acqua avvelenata ha raggiunto l’oceano. Il disastro ambientale potrà essere smaltito dall’ambiente solo entro un secolo. Il fango velenoso, oltre a distruggere tutto, ha privato il popolo Krenak (uno dei tanti che vivevano grazie al fiume), della sua principale fonte di sostentamento.
Proprio sulla riconquista del territorio attorno al fiume si basa l’epica contemporanea dei Krenak raccontata nel film. Dapprima fu un terreno donato loro nel 1920 dallo Stato allo scopo di proteggerli dagli eccidi dei coloni vicini. In seguito alla Dittatura Militare (1964 – 1985) quel terreno fu loro preso. Furono obbligati ad andarsene.
Ma il desiderio di ritornare nella terra dei loro avi li ha spinti a un lungo esodo. E magari morire lungo la strada. Meglio morire così che lontano da casa. Poi c’è il carcere politico, il Riformatorio (1969 – 1972). Opera di un governo che vedeva in qualsiasi indigeno un nemico dell’umanità e della civilizzazione. Quindi sono stati incarcerati in massa da altri indigeni kapò arruolati nella Guardia Rurale degli Indigeni. Un corpo militare creato allo scopo di arrestare e “rieducare”. I Krenak venivano ingabbiati per i motivi più futili, in attesa che i capricci ai piani alti li ritenessero riabilitati.
Poi nel 1972 c’è lo smantellamento del Riformatorio. C’è l’intenzione di restituire le terre ai Krenak. Ma i fattori che si erano nel frattempo insediati chiedono e ottengono una nuova segregazione lontano dal Doce, a Fazenda Guarani. Una deportazione e segregazione sostenuta dai colossi minerari che operavano nella zona. Quasi un altro decennio di segregazione (1972 – 1980) che tiene i Krenak lontani. Si tratta di un eccidio per la nostalgia in molti casi. Solo negli ultimi trentun’anni i diritti di questo popolo sono stati riconosciuti. E le loro terre parzialmente restituite dal Governo Centrale. Un territorio spremuto e stuprato dai possidenti agricoli. Essi lo hanno reso quasi arido. Piano piano i Krenak hanno riavuto anche i loro luoghi sacri. Primo fra tutti il Rio Doce. Per loro ha una importanza ancestrale. Secondo la loro mitologia, esso esonda solo per proteggere i Krenak.
Perciò il disastro di Bento Rodrigues viene visto con rabbia e dispiacere dai Krenak. Rabbia per il silenzio delle Istituzioni. Il dispiacere di un popolo che, forse, si sente straniero a casa propria. Si tratta di una punizione divina? Il fiume sacro li ha sentiti come stranieri perché da troppo tempo assenti? E perciò li ha visti come un organo rigettato? Non è soltanto quindi, di un uso spietato da parte dei “non – indigeni” di questo territorio. Non per loro che continueranno a lottare per questa terra.
Krenak è un testo epico del popolo eponimo. Ma vuole essere anche un messaggio di avvertimento per tutti. L’epos quando viene tramandata da una cultura all’altra, la cultura ricevente ne è arricchita. In virtù di questo il messaggio che passa, e il suo retaggio non deve essere perso. Divenendo parte di noi.