Ne “L’incredibile viaggio delle piante” lo scienziato Stefano Mancuso racconta le strategie messe in atto dal mondo vegetale per diffondere e perpetuare la propria progenie
Un anno fa vi avevamo raccontato Plant Revolution, un coinvolgente saggio nel quale Stefano Mancuso illustrava la dimensione modulare e reticolare del mondo vegetale suggerendo di utilizzarne i segreti per curare i malanni della società e della politica. Con L’incredibile viaggio delle piante il direttore del Laboratorio Internazionale di Neurobiologia Vegetale dell’Università degli Studi di Firenze racconta, con una scrittura brillante storie che incantano come favole, la capacità delle piante di viaggiare nello spazio e nel tempo, di sopravvivere a situazioni ambientali e climatiche estreme e di perpetuare la propria progenie con stratagemmi elaboratissimi sviluppati in simbiosi con la fauna e con l’ambiente circostante.
Nel prologo del libro edito da Laterza, Mancuso spiega che “le piante non sono affatto immobili. Si muovono molto, ma con tempi più lunghi. Quello che le piante non possono fare non è muoversi, ma spostarsi, almeno nel corso della loro vita. L’aggettivo che le definisce, infatti, non dovrebbe essere immobili, ma sessili o, se preferite, radicate”.
In questo come in altri suoi libri, Mancuso invita a fare tabula rasa della comparazione fra mondo animale e mondo vegetale: “Organismi così differenti da noi devono essere osservati attraverso le lenti della comprensione, non della similitudine. Non potremo mai capire le piante se le guardiamo come se fossero degli animali menomati. Sono una forma di vita diversa, né più semplice né meno sviluppata di quella animale”.
Alberi pionieri, reduci e fuggitivi
La forza di questo saggio – impreziosito dagli acquerelli di Grisha Fischer – è nella capacità di mescolare conoscenza scientifica e aneddotica, esperienze personali e storie di altri “uomini che amano le piante” (per citare un altro fortunato libro di Mancuso), cronaca e storia.
Il libro si apre con la singolare storia dell’isola di Surtsey nata nel 1963, all’interno dell’arcipelago islandese Vestmannaeyjar, dopo un’eruzione e colonizzata dalle prime piante appena due anni dopo. Nel corso degli anni quest’isola è diventata un laboratorio a cielo aperto per apprendere come sia possibile la colonizzazione vegetale di luoghi isolati. I ricercatori hanno scoperto che il 64% delle piante vascolari sono nate grazie agli uccelli, il 27% sono state veicolate via mare (per esempio attraverso le uova di pesce) e il 9% grazie al vento.
Un altro luogo che ha attirato l’attenzione degli scienziati è Černobyl’. Ciò che è successo nell’area di alienazione evacuata dopo l’incidente nucleare del 26 aprile 1986 ha dell’incredibile: la cittadina di Pripyat situata a 3 chilometri dall’impianto si è trasformata in una sorta di “Angkor Wat ucraina” con “pioppi sui tetti degli edifici, betulle nei terrazzi dei palazzi, l’asfalto divelto dai cespugli, enormi strade a sei corsie trasformate in fiumi di verde”.
Ancora più incredibile è la storia degli Hibakujumoku, gli alberi reduci della bomba atomica di Hiroshima. Nonostante gli oltre 4000° C raggiunti nel luogo dell’impatto molti alberi sono sopravvissuti oppure “risorti” dalle radici come il salice piangente situato a 670 metri dall’ipocentro.
Sulla questione delle specie vegetali che arrivano da lontano Mancuso è piuttosto chiaro: “le specie che oggi consideriamo invasive sono le native di domani”. Il pomodoro, originario di un’area compresa fra Messico e Perù, è diventato un pilastro della cucina italiana e il mais messicano ha sfamato generazioni di contadini eppure a nessuno viene in mente che queste due coltivazioni siano state secoli fa delle specie invasive.
Uno dei racconti più gustosi del libro è proprio quello relativo alla diffusione del giacinto d’acqua nel Sud degli Stati Uniti a cavallo fra il XIX e il XX secolo. L’espansione di questa pianta offerta in dono durante la World’s Fair di New Orleans da un gruppo di visitatori giapponesi fu tale che all’inizio del secolo scorso molti pesci e animali acquatici erano in pericolo così come le attività connesse al trasporto fluviale. Nel 1910, a Washington, il Congresso americano si trovò a dover votare per l’introduzione degli ippopotami negli Stati Uniti. Questi grandi mammiferi nutrendosi dei giacinti ne avrebbero ridotta la diffusione, ma i sostenitori del sì furono sconfitti per un solo voto…
Alberi che viaggiano nel tempo e piante solitarie
Matusalemme, il Pinus longaeva californiano la cui età stimata è di 5000 anni e Old Tjikk, un abete rosso svedese di 9560 anni, coevo della nascita dell’agricoltura, sono gli alberi più vecchi del mondo ma Mancuso ci racconta anche altre strategie che consentono alle piante di viaggiare nel tempo.
Le capsule in grado di far compiere prodigiosi balzi temporali alle piante sono fra le invenzioni più perfette della natura: si chiamano semi. Ed è proprio a queste preziose sorgenti di vita che Mancuso dedica il quarto capitolo del suo libro raccontandoci la storia dei semi di una palma da dattero trovati durante scavi archeologici compiuti a Masada e riportati in vita dopo 2000 anni.
Altrettanto stupefacenti sono le storie di alberi solitari nati e sopravvissuti a centinaia di chilometri dai conspecifici più vicini. C’è l’abete di Campbell Island, l’albero più solitario del mondo, lontano 200 chilometri dalle Auckland Island dove si trovano i conspecifici più prossimi.
Prima che fosse scoperto quest’albero subantartico, il primato della solitudine spettava all’acacia del Ténéré, situata nell’omonimo deserto del Niger settentrionale. Pur essendo l’unico albero per centinaia di chilometri, a decretarne la fine furono due incidenti stradali avvenuti nel 1959 e nel 1973; contro ogni calcolo probabilistico due camionisti, a quattordici anni di distanza, finirono con i loro mezzi contro la pianta solitaria del Ténéré.
Queste e altre storie compongono un libro godibilissimo che fornisce un ulteriore contributo sulla strada della conoscenza di un mondo ancora poco esplorato, nonostante l’importanza che riveste nell’equilibrio del nostro Pianeta.
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