L’inquinamento delle falde, le siccità prolungate, l’impermeabilizzazione dei terreni e il consumo smodato di acqua da parte di agricoltura e settore energetico sono le principali cause delle crisi idriche nelle metropoli di tutto il mondo
“Non conosciamo mai il valore dell’acqua finché il pozzo non si prosciuga” diceva lo storico inglese Thomas Fuller quattro secoli fa. Oggi, nel secondo decennio del terzo millennio, sono sempre di più le metropoli che fanno i conti con la scarsità di risorse idriche. Da Città del Capo a Caracas, da Bangalore a São Paulo, la scarsità d’acqua sta mettendo in ginocchio numerose metropoli e megalopoli in tutto il mondo.
L’esempio più emblematico è Città del Capo, la principale città sudafricana messa in ginocchio da una siccità durata tre anni. Nell’estremo sud del continente africano i notiziari radiofonici non aprono con le dichiarazioni propagandistiche dei politici ma con i dati sui consumi idrici. Il 2017 è stato l’anno più arido della storia e la gente ha dovuto imparare a convivere con i razionamenti: 50 litri al giorno è la quota pro capite concessa e nel caso venga superata dà diritto al blocco dell’erogazione.
Gli abitanti di Cape Town hanno imparato a convivere con la siccità, a utilizzare più e più volte la stessa acqua, a raccogliere l’acqua piovana e, nei casi più estremi, l’umidità dell’aria con appositi dispositivi. Chi fa il furbo allacciandosi alla rete o prelevando l’acqua da sorgenti e piccoli corsi d’acqua rischia grosso.
A vigilare sui quattro milioni di abitanti di Città del Capo ci sono 700 agenti della Water Police, una forza di polizia che ha il compito di far rispettare le rigide normative sui consumi idrici.
L’utilizzo dell’acqua è diventato uno dei principali argomenti di conversazione nelle relazioni sociali e gli abitanti di Città del Capo hanno imparato a rinunciare a docce prolungate (in 5 minuti si spendono i 50 litri della media giornaliera) e all’uso della lavastoviglie (25 i litri che si utilizzano in un carico).
Anche se le piogge dell’ultimo inverno australe hanno contribuito a un lieve miglioramento della situazione nella metropoli sudafricana le buone pratiche fanno ormai parte della quotidianità. Per tutti l’obiettivo è evitare il Day Zero ovverosia il giorno in cui non sarà più possibile erogare l’acqua nelle abitazioni e i cittadini dovranno rifornirsi ai punti di raccolta per raccogliere 25 litri pro capite.
Quella che fino a qualche anno fa poteva sembrare una distopia è una realtà. E nelle altre metropoli che cosa sta succedendo?
A São Paulo, nel 2015, il principale serbatoio della città è sceso al di sotto del 4% della sua capacità. Quando, al culmine della crisi, sono dovute intervenire le autobotti, la polizia ha dovuto scortare i convogli per evitare saccheggi da parte della popolazione.
A Bangalore la crisi idrica è un mix di carenze infrastrutturali (il 50% viene disperso a causa delle tubazioni anacronistiche) e inquinamento (l’85% dell’acqua può essere utilizzato solo per agricoltura o industria).
A Jakarta, in Indonesia, lo scavo illegale di pozzi è una pratica diffusa che sta svuotando le falde acquifere sotterranee. Ad aggravare la situazione sono la cementificazione e il consumo del suolo che impediscono l’assorbimento dell’acqua nel sottosuolo.
Una delle situazioni più contraddittorie è quella della Russia, paese che detiene un quarto delle riserve mondiali di acqua dolce. Con una simile disponibilità d’acqua non dovrebbero esserci problemi per uno stato che ha una densità di 8,5 abitanti per kmq (contro i 143 abitanti per kmq della Cina), ma a complicare la situazione è l’inquinamento causato dall’eredità industriale dell’era sovietica. Considerando che a Mosca il 70% dell’approvvigionamento idrico dipende dalle acque superficiali c’è davvero di che preoccuparsi.
I problemi di stress idrico della Turchia sono accentuati in una metropoli come Istanbul che conta oramai 15 milioni di abitanti. Nel 2016 l’offerta pro capite di acqua è scesa sotto i 1700 metri cubi e le proiezioni prevedono che, entro il 2030, la città sul Bosforo dovrà affrontare una grave crisi idrica.
A Caracas la siccità si è sommata alle conseguenze della gravissima crisi economica degli ultimi mesi. Quest’estate negli ospedali della capitale venezuelana si è cercato di far fronte alla crisi raccogliendo l’acqua piovana in cisterne e bacinelle.
A Città del Messico la crisi idrica è cronica. Un quinto della popolazione riceve l’acqua solamente per poche ore alla settimana, un altro quinto solo per una parte della giornata. Il 40% dell’acqua che serve la metropoli messicana proviene da fonti lontane, una cifra che pareggia il saldo con il 40% delle perdite dell’anacronistica rete infrastrutturale.
L’esempio di Città del Capo è paradigmatico di come si possano cambiare le proprie abitudini, ma prevenire, si sa, è molto meglio che curare. I dati sui consumi idrici di New York, per esempio, evidenziano un sensibile decremento del consumo pro capite negli ultimi quattro decenni: dai 213 galloni (806 litri) di consumo pro capite del 1979 si è passati ai 115 galloni del 2017 (435 litri). La cifra rimane chiaramente altissima, specialmente se la paragoniamo al limite di 50 litri imposto dall’amministrazione di Città del Capo, ma la riduzione dei consumi è l’unica soluzione per contrastare i fenomeni delle crisi idriche.
Anche se ognuno può fare la propria parte, sono soprattutto l’agricoltura e il settore energetico ad avere la maggiore responsabilità quando si parla di risparmio idrico. Un’infografica dello U.S. Geological Survey ci fornisce dati molto interessanti sugli utilizzi delle acque dolci in California: il 60,7% viene captato per l’irrigazione, il 17,4% per la generazione di energia termoelettrica, il 16,6% per l’utilizzo pubblico, il 2,6% per l’acquacoltura, l’1% per l’industria, lo 0,7% per l’industria mineraria, lo 0,5% per l’allevamento e lo 0,5% per l’utilizzo domestico.
La “sete” d’acqua delle città entra in conflitto con la loro stessa espansione: la crescita della popolazione urbana porta con sé una crescita dell’inquinamento e dell’impermeabilizzazione del suolo che blocca l’assorbimento delle acque piovane. Ancora una volta non c’è nulla di “naturale” nella siccità: i cambiamenti climatici e l’antropizzazione selvaggia sono alla base delle crisi idriche che diventeranno inevitabilmente più drammatiche nel corso dei prossimi anni.
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