Esistono sistemi che non producono rifiuti? In natura ciò che è scarto di un sistema diventa nutrimento per un altro. Questa è la strategia rifiuti zero.
Esistono sistemi che non producono rifiuti? In natura tutti. Ciò che è scarto di un sistema diventa nutrimento per un altro, è la cara vecchia legge fisica per la quale nulla si crea e nulla si distrugge. Questo concetto ha ispirato la strategia “rifiuti zero”. Il primo passo è iniziare a concepire i prodotti arrivati alla fine del proprio ciclo di vita non come rifiuti ma come veri e propri giacimenti di risorse primarie e secondarie da riutilizzare per la creazione di altri prodotti. Di conseguenza, cercare di tenerli il più lontano possibile da un inceneritore o da una discarica che possa renderli inutilizzabili. Dopodiché, ripensare al sistema di raccolta e riciclaggio per renderlo il più efficace possibile.
A San Francisco l’hanno fatto. Con oltre 850.000 abitanti, una densità abitativa tra le maggiori degli Stati Uniti (sono secondi solo a New York) e un flusso di turisti da tutto il mondo, nella città californiana riescono a riciclare tutto il riciclabile con il porta a porta. In discarica finiscono solo quei prodotti che non c’è modo di recuperare perché non sono stati progettati per farlo e non esiste un metodo che lo rende possibile a posteriori. Tutto il resto viene reimmesso nel sistema produttivo per produrre nuovi beni.
Per farlo ci va una grande determinazione. L’amministrazione locale ha promulgato leggi scomode obbligando gli esercizi commerciali all’utilizzo di shopper e di contenitori compostabili e allo stesso tempo ha riconosciuto gli sforzi di chi si impegna di più applicando una riduzione delle tasse sulla raccolta. I cittadini sono attenti e separano correttamente i materiali per non ricevere il bollino rosso dagli operatori ecologici che controllano minuziosamente il contenuto dei cassonetti. Un caso di eccellenza, da cui prendere esempio documentato nel film “Racing to zero” di Christopher Beaver in programma per la 19° edizione del Festival Internazionale di Cinemambiente. Un film che senza retorica rappresenta un cambiamento concreto, l’evoluzione di un sistema nel suo insieme verso un nuovo modello socio-economico, che rompe lo schema lineare della produzione e introduce quello circolare della reimmissione e recupero dei materiali.
Un modello che non si limita a ridurre l’impatto ambientale ma genera innovazione, impresa, posti di lavoro, informazione e responsabilità sociale nei suoi attori. Al termine del film, in calendario l’1 giugno, ore 17, in sala 3 del Cinema Massimo, si terrà un dibattito con Walter Facciotto Direttore Generale di CONAI, che ha così commentato: “In Italia da quasi vent’anni il Consorzio Nazionale Imballaggi si occupa della valorizzazione dei cosiddetti giacimenti metropolitani, ovvero quei milioni di tonnellate di rifiuti di imballaggio urbani a cui viene ridata ogni anno nuova vita. Ad oggi, vengono sottratti alla discarica 3 imballaggi su 4, erano 1 su 3 nel 1998, contribuendo a creare valore aggiunto per quasi 10 miliardi di euro e occupazione per 37.000 addetti”. Interverrà inoltre, Massimiano Tellini, esperto di circular economy che dichiara: “la green economy e il concetto di sostenibilità sono tentativi di mitigare gli effetti negativi dell’economia lineare. Sono 40 anni che studiamo come riciclare la plastica e la percentuale che effettivamente viene recuperata è ancora molto bassa. La circular economy, superando l’assunto che le risorse primarie siano illimitate, ridisegna un modello di sviluppo e di creazione del valore, in ambito economico, sociale ed ambientale. La circular economy è una economia rigenerativa del capitale naturale, dal quale tutte le attività umane dipendono.”
Bella esperienza quella di San Francisco direi un esempio, però in Italia ancora ci sono molte frizioni affinché un economia di tipo circolare possa prendere piede. Mi occupo di protezione dell’ambiente da molto tempo e negli ultimi due anni di economia circolare e consulenza strategia ambientale, e nonostante l’impegno di moltissime nuove aziende, che hanno una visione ambientale e sociale del tutto opposta a quella passata, mi rendo conto che l’introduzione del concetto circolare, cosi come quello della esternalità, in Italia è ancora impensabile. Per esempio, nel nostro paese parliamo ancora di isole ecologiche, in pratica mini discariche e non di Miniere Urbane, del tutto diverse come approccio di base. Per stare al passo di S. Francisco o semplicemente dei nostri partner europei, bisogna creare una nuova mentalità verso questo nuovo modello di economia che deve necessariamente partire dall’educazione scolastica ed essere comunicato nelle scuole come materia obbligatoria, solo così possiamo sperare in un Italia circolare.
Bell’articolo complimenti
cG