Dodici anni, una lunga esperienza tra i pendii delle Alpi Francesi, e il sogno di riuscire a condurre da solo, un giorno, il suo gregge di pecore. Alexandre è il giovane protagonista del documentario “Alexandre, fils de berger” (Francia, 2014, 69′) di Anne, Erik e Véronique Lapied che ci verrà presentato il prossimo 16 maggio alle ore 21. Il luogo dell’incontro è il Cinema Massimo- Sala 1 e l’occasione, dopo le proiezioni di “Killer Slope“ e “Verso Dove“, è un nuovo appuntamento con la rassegna cinematografico-letteraria “In cordata- Film e narrazioni di montagna”.
Insieme ad Alexandre, andremo alla scoperta della vita d’alpeggio, in un percorso di formazione fondato sui preziosi insegnamenti di un padre maestro e complice, e scandito dalle giornate estive trascorse all’aperto fra marmotte, camosci, linci e lupi.
In vista dell’evento, in un’interessante chiacchierata la regista Anne Lapied ha condiviso con noi le origini, l’esperienza e gli intenti del film: “All’inizio, eravamo stati incaricati di mostrare la varietà dei mestieri dei pastori e degli allevatori di montoni nel territorio. I committenti avevano selezionato una decina di personaggi o di famiglie che ben rappresentavano questi mestieri, ma questo non ci dava la possibilità di concedere loro molto tempo per esprimersi. Quando abbiamo incontrato Fernand Léger e suo figlio Alexandre, abbiamo iniziato a filmarli e intervistarli, ci siamo presto resi conto che cinque minuti nel montaggio finale non sarebbero bastati. Abbiamo quindi deciso di realizzare un film esclusivamente su di loro”.
Alexandre e Fernand Léger insieme a Erik Lapied
Il risultato è un documentario da cui traspare una grande comprensione del significato profondo di uno stile di vita a stretto contatto con l’ecosistema in cui si è immersi. “Con Erik, mio marito, e Véronique, nostra figlia, realizziamo unicamente film sulla montagna: la gente che la abita, tanto sulle Alpi quanto sull’Himalaya, ma anche sulla fauna selvatica. Erik ed io passiamo un centinaio di giorni l’anno a filmare gli animali in montagna. Ci rendiamo conto che il nostro modo di vivere e lavorare in altitudine per tutto questo tempo ha molti punti in comune con questi pastori. E’ senza dubbio questa similitudine che spiega la complicità e l’amicizia che abbiamo stretto con loro in pochissimo tempo e che ci ha permesso di realizzare questo film”.
Un focus particolare è dedicato alla speciale relazione che unisce due protagonisti, emblematici rappresentanti di due generazioni di pastori: “Siamo rimasti colpiti dalla filosofia di vita di Fernand, dalla complicità di questo padre con suo figlio, da quella volontà di tramandare il mestiere di pastore insieme all’amore per la montagna e al rispetto per l’ambiente, anche se il ritorno del lupo non facilitava loro il compito”. Il connubio, non privo di ostacoli, con un mondo naturale imponente non implica, tuttavia, un rifiuto del modello di vita contemporaneo e non impedisce ad Alexandre di agire, interagire e comportarsi come qualunque altro ragazzo della sua età. “Abbiamo trovato interessante che Alexandre si trovasse a proprio agio tanto nel mondo moderno (la vita a scuola con i compagni, l’utilizzo del cellulare…) quanto a condurre il gregge da solo per i ripidi pendii del loro alpeggio. Un buon equilibrio fra i due modi di vivere”.
Anne Lapied sarà presente al Cinema Massimo lunedì 16 maggio 2016 insieme al marito Erik, per approfondire il dibattito sui temi del documentario al termine della proiezione. Insieme a loro, interverranno Bruno Bassano, responsabile scientifico Parco Nazionale Gran Paradiso, Luisa Vuillermoz, direttrice artistica Gran Paradiso Film Festival e Carlo Grande, giornalista e autore di “Terre alte” e “La via dei lupi”.
Obiettivo dichiarato del film e della serata è mostrare con l’esempio cosa significa davvero crescere in montagna, con tanto di difficoltà e valori aggiunti. “Non allo scopo di impartire grandi lezioni agli spettatori” ci confida, concludendo, la regista “ma di fornire loro testimonianze di una vita vicina alla natura, una comprensione del mestiere del pastore che è fondamentale conservare, e non relegare agli archivi dei musei”.