Il 2015 si è aperto con la condanna alla direzione e ai veterinari di Green Hill – l’allevamento bresciano di cani Beagle destinati ai test a vivo – per il reato di maltrattamento e uccisione di animali. Diventato caso mondiale, la sentenza ha reso giustizia ai 6.023 cani morti tra il 2008 e il 2012, spesso solo perché giudicati «difettosi».
Sappiamo che la tecnologia viene sovente in aiuto degli animali, se poi si tratta di bestiole nate e cresciute in laboratorio senza conoscere il loro vero habitat, l’attenzione è ancora maggiore. Tuttavia, secondo i dati statistici relativi all’utilizzo di animali ai fini scientifici per il triennio 2010-2012 della Gazzetta Ufficiale sarebbero 768.796 gli animali ancora utilizzati o riutilizzati a fini sperimentali nel 2012.
Come si vede nell’immagine, fortunatamente l’11 marzo 2013 è entrato in vigore l’ultimo decisivo stop previsto dalla Commissione Europea che impone il divieto di sperimentare i cosmetici su animali o importarne gli ingredienti testati sugli animali.
Come garantire quindi al consumatore che il prodotto utilizzato non creerà problemi alla sua pelle? Esistono metodi che non solo salvaguardino gli animali, ma abbiano anche una maggiore validità da un punto di vista scientifico?
Un primo aiuto al consumatore viene dalla Guida LAV (LAV: ente italiano garante dello standard internazionale) la quale elenca tutte le aziende che commercializzano prodotti cruelty free. In commercio infatti esistono già oltre 10.000 sostanze considerate sicure per la nostra salute, che non hanno bisogno di ulteriori sperimentazioni.
Nella necessità di testare nuovi ingredienti la tecnologia ha ormai un ruolo fondamentale, in particolare la stampa 3D, una delle tecnologie più versatili al momento. Se ne parlava già nel 2011: al convegno annuale della American Association for the Advancement of Science, Washington DC veniva presentata una speciale bio-printer con la quale era possibile stampare un mix di cellule umane della pelle, collagene e silicone.
Nel 2014 invece un team di ricercatori e studenti dell’Università di Toronto era riuscito a progettare e costruire una macchina, chiamata PrintAlive, in grado di ricreare la pelle sovrapponendo vari strati di tessuto tegumentario, particolarmente adatta nei casi di ustioni.
L’argomento è ritornato alla ribalta a maggio 2015 grazie al colosso multinazionale l’Oreal: la filiale statunitense ha inaugurato una collaborazione con la start-up Organovo per avviare una produzione di pelle umana artificiale attraverso l’utilizzo di stampanti 3D per i test cosmetici.
Innovazione e sostenibilità sembrano quindi i fili conduttori della tecnologia della stampa 3D: il settore della cosmesi è solo uno degli ambiti dove questa tipologia di stampa potrebbe apportare cambiamenti irreversibili nella qualità della vita. Se poi si riusciranno a trovare vie alternative ai test animali in ogni ambito sarà tutto di guadagnato per il Pianeta.