In un bosco veneto esiste un parco divertimenti totalmente autocostruito da Bruno Ferrin, a ingresso libero e a impatto (quasi) zero
Son passati quarantasei anni da quando Bruno Ferrin ha affittato quel pioppeto per farci con sua moglie una “frasca”, un’osteria di campagna, che serviva vino, soppressa, polenta fritta, salsiccia e poco più. Siamo in provincia di Treviso, a Nervesa della Battaglia, e il vino, la polenta e tutto il resto sono ancora serviti, ma da quel lontano 1969 Bruno ha poi acquistato il terreno, e gli allora 520 pioppi sono diminuiti, per far spazio ad altre essenze quali olmi, faggi, platani, castagni, betulle, ma soprattutto a strutture non naturali, ma eccezionali, a 0% impatto ambientale e 100% divertimento.
In mezzo a questo boschetto ai piedi delle Dolomiti Venete, Bruno ha infatti costruito, tutto da sé e nel corso degli anni, un vero e proprio parco divertimenti interamente meccanico, che non necessita di motori o elettricità, ma della sola forza delle braccia e delle gambe di chi lo utilizza.
La prima costruzione fu uno scivolo di tre metri, qualche anno dopo l’apertura dell’osteria e l’ampliamento dell’offerta culinaria e dei posti a sedere. I bambini si divertivano molto a scivolare, e Bruno si divertì molto ad assemblarlo: perché non crearne uno più alto allora, per raddoppiare il divertimento? Da quel momento Bruno non si è più fermato. Le sue capacità da saldatore autodidatta si affinavano e l’osservazione della natura gli dava sempre più ispirazioni per nuove giostre, man mano più complicate e adrenaliniche.
Il più alto degli scivoli ha attualmente tre piste, e misura 60 metri; poi ci sono diverse altalene, percorsi di guerra, girotondi, carrucole, tappeti elastici, il mega cilindro, il giro della morte in bici, la maxi centrifuga, l’altalena in gabbia, la teleferica, le catenelle, una ruota ispirata all’uomo vetruviano e l’ultimo arrivato – in realtà l’unico che necessita di un “aiutino” elettrico: un vagoncino a 6 posti che viene trasportato a 30 metri d’altezza e poi lasciato andare giù a 100 km/h. In totale fanno 45 giostre, totalmente autocostruite e a zero impatto.
Ma a quasi ottant’anni la fervida immaginazione di Bruno non sembra volersi fermare: al momento sta lavorando ad una mega catapulta, che lo sta tenendo impegnato da un paio d’anni e che spera di terminare entro fine anno.
Le idee geniali di Bruno, prima di essere messe in pratica, passano da un doppio vaglio tecnico, per capirne la fattibilità e la sicurezza: prima dal disegnatore tecnico Paolo Schiavetto di Nervesa e poi dall’ingegnere Roberto Scandiuzzi di Treviso.
Quanto costerà l’ingresso a questo “Gardaland dei poveri” (come viene spesso definito)? Zero! Sì, proprio così. Non si paga un biglietto d’ingresso né ci sono regole precise. L’unica clausola: non portarsi il pranzo da casa ma consumare almeno un panino all’osteria, dalla cucina casereccia e che costa pochissimo tra l’altro.
«Non esistono giostre pericolose, ma solo giostre usate male»: Bruno invita alla prudenza e a non andare oltre le proprie capacità, segnalando eventuali disfunzioni o anomalie nelle strutture; dice che le giostre non sono pericolose, perchè altrimenti cesserebbe il loro scopo di divertire… ma nel caso qualcuno voglia comunque fare di testa sua, ogni anno vengono spesi 3000 euro in polizza assicurativa. Se però si considera che la bolletta dell’energia elettrica non supera i 90 euro annui, non è poi una grande spesa da sostenere.
Negli ultimi anni c’è stato un boom dei visitatori, che nel 2014 sono stati oltre 50mila, dalle nazionalità più differenti: la genialità e l’unicità di questo parco divertimenti sono state diffuse in tutto il mondo grazie soprattutto al cortometraggio del registra brasiliano Luiz Romero, che studiava nella vicina Fabrica (il centro di ricerca sulla comunicazione del gruppo Benetton) e a cui ha proposto di documentare questa realtà che lo aveva colpito così tanto, seppur ci fosse capitato quasi per caso.
Da quel momento la fama dell’Osteria ai Pioppi (questo era ed è rimasto il suo nome) si è sparsa a macchia d’olio, fino a essere inserita tra le dieci attrazioni autocostruite più bizzarre secondo il Guardian.
Quello che spinge, secondo Bruno Ferrin, gli adulti a tornare bambini attraverso il brivido che dà questo tipo di divertimento genuino e autentico, è «l’adrenalina, la sfida con se stessi. È la natura stessa che ci spinge a osare sempre di più. Sentiamo fino all’ultimo giorno il bisogno di superarci. Ci serve per dirci da soli quanto siamo bravi» (da un’intervista di Stefano Lorenzetto per Il Giornale).
Una natura che ispira e che sprona, un’alleata da ascoltare e non più una risorsa da prosciugare: quella di Bruno alla fine altro non è che la voglia di integrarsi con Madre Terra, semplice, umile. Una spinta che l’essere umano sembrava stesse perdendo ma che grazie a realtà come queste dà ancora quella speranza necessaria a credere e creare un altro mondo possibile, che abbandona le logiche dello sviluppo continuo e del profitto e che impara a rallentare, ascoltando i propri bisogni, in quanto umani e in quanto terrestri.