Tutti sappiamo quanto sia importante l’ape come bioindicatore ecologico, questo straordinario insetto che oltre ad offrirci frutti di inestimabile valore, come miele, polline, pappa reale, propoli e cera, è l’unico che ogni giorno è capace di esplorare tutte le sfere ambientali come l’atmosfera (aria), l’idrosfera (acqua) e la litosfera (suolo), a tal punto che una loro riduzione anomala porterebbe a gravi scompensi ambientali. Un insetto capace di esplorare e acquisire informazioni importantissime su un territorio che ha un’area di circa 25 chilometri. Da anni sentiamo parlare di drastica riduzione di questo singolare Imenottero, indice sicuro di un degrado nella qualità complessiva dei nostri ecosistemi.
Ma non solo le api fungono da bioindicatore: molti sono gli insetti, che essendo nobili, molto specializzati e per lo più sensibili sia ai cambiamenti climatici che alla qualità ambientale, rispondendo in maniera immediata e inequivocabile a tutti i mutamenti che avvengono a livello di ecosistema e intorno a noi, risultano essere un punto focale per capire le caratteristiche dei luoghi esplorati. Dalla presenza-assenza di Tricotteri (insetti porta sassi), di Libellule o di Efemerotteri (insetti dalla vita effimera) se ne deduce la qualità dei nostri fiumi; dalla presenza-assenza di bruchi di farfalla, di lucciole o di alcuni Lucanidi (cervo volante) se ne deduce una buona qualità dei nostri boschi nonché la loro maturità.
Le libellule, inoltre, sono dei buoni indicatori dei cambiamenti climatici, il loro volo è condizionato dalla temperatura dell’aria, che incide su intensità e durata della stagione riproduttiva. Le specie montane e alpine sono particolarmente esposte al rischio di estinzione, in caso di riscaldamento generalizzato, per l’assenza di siti idonei al mantenimento di popolazioni vitali a quote più elevate. Ma sono i Coleotteri i migliori indicatori dei cambiamenti climatici, e nello specifico la famiglia dei Carabidi. I Carabidi sono diffusi in tutto il mondo con oltre 40.000 specie e di queste 1.300 sono distribuite in Italia. In particolare l’attenzione è rivolta all’approfondimento delle conoscenze sulla distribuzione delle varie specie che vivono negli ecosistemi naturali d’alta quota, in quanto questi invertebrati possono fungere da importanti indicatori dei cambiamenti climatici. I dati così raccolti avranno un valore di notevole interesse per capire gli effetti dei mutamenti climatici sulla fauna del suolo, specialmente nei più sensibili ecosistemi di alta quota, cioè foreste e praterie al loro limite altitudinale.
Conoscerli in maniera approfondita ci permetterà di individuare aree di maggior pregio naturalistico da sottoporre a tutela, ma allo stesso tempo potranno fornirci dati utili sulla gestione dei territori in questione. Tutto verrà considerato importante: la morfologia, la dieta (che varia da carnivora a vegetariana), le abitudini e tutto il ciclo vitale, considerando inoltre che i Carabidi sono in grado di ricolonizzare ambienti disturbati permettendo di ricavare in modo immediato, attraverso l’analisi dell’abbondanza, presenza e diversità delle specie, numerose informazioni sullo stato qualitativo dell’habitat monitorato.
A questo proposito risulta interessante uno studio fatto da alcuni scienziati canadesi appartenenti alla McGill University secondo i quali i Carabidi dell’Artico potrebbero essere una sentinella ideale dei cambiamenti del clima. I Carabidi dell’Artico, spiegano i ricercatori in uno studio pubblicato su Plos One, non sono solo numerosi ma si differenziano per le abitudini alimentari: cosa ingeriscono dipende dalla latitudine alla quale si trovano. Ed è proprio su suolo, piante e altri insetti, che sono alla base della loro alimentazione, che si riflettono le variazioni del clima.
Gli scienziati hanno identificato oltre 460 specie di Carabidi nell’Artico, dalla foresta dell’Ontario settentrionale in Canada fino all’estremo Nord dell’isola Ellesmere. Analizzandole hanno riscontrato differenze significative nelle modalità di nutrizione. Le specie a Nord sono ad esempio in genere più predatrici, mentre a Sud prediligono i vegetali. “Con l’aumento o le variazioni delle temperature nelle regioni settentrionali c’è la forte possibilità che le comunità di Carabidi ne risentano“, spiega il professor Chris Buddle che ha guidato lo studio, “Questa sensibilità dei Carabidi li rende dei bioindicatori ideali per il monitoraggio a lungo termine della biodiversità.”
Ciao, sono un biologo, posso chiederti se i grilli o comunque gli ortotteri hanno un ruolo come indicatori della qualità di un ambiente, ti ringrazio